venerdì 13 novembre 2015

Quando Caporetto fece tremare la Bassa



BONAVIGO
Ponti minati, trincee, posti di blocco se fossero arrivati gli Austriaci
La Prima Guerra mondiale, il conflitto bellico che cento anni fa ridisegnò le carte geografiche d’Europa, in Italia non fu soltanto combattuta tra le montagne. È vero che il fronte alpino tra il Veneto e l’allora Impero Asburgico fu una delle zone dove si svolsero le principali battaglie, ma gli echi dei cannoni giunsero anche a distanza di chilometri dalle zone montane dove gli uomini del Regio esercito e delle truppe fedeli a Francesco Giuseppe si affrontarono dal 1915 al 1918. Ad esempio anche le comunità nel cuore della pianura veronese erano pronte ad affrontare, nel caso di un ulteriore arretramento delle linee italiane, in seguito soprattutto alla famosa “rotta di Caporetto” del 1917, un eventuale invasione austriaca.
È quanto hanno scoperto i volontari del GCTCV, il Gruppo civico per le tradizioni e la cultura veneta, attivo nei centri di Bonavigo, Albaredo d’Adige, Minerbe e Roverchiara dalla fine degli anni ‘90. Il sodalizio, presieduto da Ignazio Scapin, ha infatti ricostruito, per quel che concerne Bonavigo, l’organizzazione difensiva del paese nel periodo 1915-’18. Lo ha fatto in base ai racconti che, anni fa, gli hanno riferito gli anziani bonavighesi, protagonisti delle vicende. Scapin ha inoltre interrogato i discendenti degli ex militari. In collaborazione con gli altri volontari dell’associazione, poi, il presidente ha raccolto materiale fotografico concernente Bonavigo e la Grande guerra. Tutto ciò è stato quindi inserito nel calendario 2016 che il gruppo culturale ha iniziato già a distribuire da settembre tra i residenti del Comune della Bassa e delle località limitrofe.
Dalle notizie raccolte da Scapin e dai suoi collaboratori, dunque, si è scoperto che i soldati italiani avevano, nel periodo 1915-’18, minato il ponte di ferro sull’Adige, che fin dal 1894 collegava Roverchiaretta con Bonavigo. L’esplosivo era stato collocato con lo scopo di far esplodere il manufatto nel caso le truppe austriache fossero penetrate nel Veronese. Una foto dell’epoca, appartenente ad Amedeo Bedoni, mostra appunto il ponte metallico così come si presentava un secolo fa. Per ironia della sorte tale attraversamento fluviale scampò alla distruzione della Prima Guerra mondiale ma non, alcuni anni dopo, ai danni provocati dal Secondo conflitto mondiale. Fu infatti distrutto e, nel Dopoguerra, passarono diversi anni prima che il ponte fosse ripristinato in cemento armato.
Tornando alle ricerche del GCTCV, i ricercatori hanno scoperto che, alle porte di Bonavigo, erano stati previsti due posti di blocco per controllare le vie di comunicazione. Essi si trovavano, rispettivamente, in località Cinquecase e in località Bottirole. Nella contrada Cazzè, quasi a ridosso dell’Adige, era stata invece prevista una trincea scavata per creare una linea difensiva, protetta con filo spinato. In centro al territorio comunale era stata ipotizzata una zona riservata ai soldati dell’esercito italiano in ritirata. Uno spazio accanto al fiume era destinato ad eventuali soldati fatti prigionieri dagli italiani. «In quel periodo – evidenzia Scapin – il parroco era don Gaetano Moro, mentre il sindaco era Rodolfo Mutti. Le linee difensive nel Comune di Bonavigo erano state ideate per contrastare un eventuale attacco delle truppe austro-ungariche».
Tali espedienti, 25 anni dopo, in pieno secondo conflitto bellico sarebbero risultati invece inutili, visto che gran parte degli attacchi sulla pianura veronese vennero dal cielo. Proprio Bonavigo, in quel periodo, dovette subire devastanti bombardamenti aerei che, oltre a distruggere lo storico ponte sull’Adige, danneggiarono pesantemente il centro abitato e compromisero la stabilità della vecchia chiesa parrocchiale, che negli anni del Dopoguerra fu abbattuta e ricostruita in un altra zona del paese. La ricerca del Gruppo culturale bonavighese non si è fermata qui. Oltre a recuperare le immagini dei soldati del paese che combatterono durante la guerra, comprese quelle relative agli oltre 120 militi che presero parte al conflitto e a quelle delle cerimonie commemorative a con gli ultimi reduci insigniti del titolo di Cavalieri di Vittorio Veneto, i volontari hanno messo nero su bianco le testimonianze di quel periodo, raccolte dalla bocca dei diretti interessati quando erano ancora in vita.
Tra gli aneddoti riguardanti i soldati di Bonavigo che tornarono sani e salvi a casa dal conflitto, c’è quello riguardante Eugenio Ferrari. «Era un uomo dai capelli rossi e con le lentiggini – evidenzia Scapin – e l’ultima volta che fu preso dagli austriaci accadde un fatto strano: il prigioniero fu legato ad un albero e gli venne fatta cadere continuamente una goccia d’acqua sul capo. Questa goccia, dopo qualche ora, ebbe l’effetto di una vera e propria mazzata sulla testa, a tal punto che Ferrari si mise ad urlare tanto da indurre i suoi carcerieri a liberarlo. Tuttavia gli austriaci, impietosamente, lo misero in un campo di concentramento, dal quale riuscì a scappare e a ritornare nell’esercito italiano. Informò così i suoi superiori della prossima azione militare che gli austriaci stavano preparando nei confronti delle nostre truppe». Un altro episodio, invece, è meno inquietante. Scapin riferisce: «Mario Tobaldin, originario di Cazzè, raccontava che gli ufficiali italiani lo avevano mandato all’assalto contro gli austriaci con dei semplici coltelli, poiché non avevano abbastanza armi da fuoco per tutti. Prima di tutto i soldati venivano ubriacati per far loro coraggio. Se indietreggiavano, erano seguiti da carabinieri piemontesi che li obbligavano a procedere, altrimenti sarebbero stati fucilati alle spalle».
Fabio Tomelleri
Articolo apparso su Verona Fedele del 15/11/2015

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.