BONAVIGO
Ponti minati, trincee, posti di blocco se fossero arrivati
gli Austriaci
La Prima Guerra mondiale, il conflitto bellico che cento
anni fa ridisegnò le carte geografiche d’Europa, in Italia non fu soltanto
combattuta tra le montagne. È vero che il fronte alpino tra il Veneto e
l’allora Impero Asburgico fu una delle zone dove si svolsero le principali
battaglie, ma gli echi dei cannoni giunsero anche a distanza di chilometri
dalle zone montane dove gli uomini del Regio esercito e delle truppe fedeli a
Francesco Giuseppe si affrontarono dal 1915 al 1918. Ad esempio anche le comunità
nel cuore della pianura veronese erano pronte ad affrontare, nel caso di un
ulteriore arretramento delle linee italiane, in seguito soprattutto alla famosa
“rotta di Caporetto” del 1917, un eventuale invasione austriaca.
È quanto hanno scoperto i volontari del GCTCV, il Gruppo
civico per le tradizioni e la cultura veneta, attivo nei centri di Bonavigo,
Albaredo d’Adige, Minerbe e Roverchiara dalla fine degli anni ‘90. Il
sodalizio, presieduto da Ignazio Scapin, ha infatti ricostruito, per quel che
concerne Bonavigo, l’organizzazione difensiva del paese nel periodo 1915-’18.
Lo ha fatto in base ai racconti che, anni fa, gli hanno riferito gli anziani
bonavighesi, protagonisti delle vicende. Scapin ha inoltre interrogato i
discendenti degli ex militari. In collaborazione con gli altri volontari
dell’associazione, poi, il presidente ha raccolto materiale fotografico
concernente Bonavigo e la Grande guerra. Tutto ciò è stato quindi inserito nel
calendario 2016 che il gruppo culturale ha iniziato già a distribuire da
settembre tra i residenti del Comune della Bassa e delle località limitrofe.
Dalle notizie raccolte da Scapin e dai suoi collaboratori,
dunque, si è scoperto che i soldati italiani avevano, nel periodo 1915-’18,
minato il ponte di ferro sull’Adige, che fin dal 1894 collegava Roverchiaretta
con Bonavigo. L’esplosivo era stato collocato con lo scopo di far esplodere il
manufatto nel caso le truppe austriache fossero penetrate nel Veronese. Una
foto dell’epoca, appartenente ad Amedeo Bedoni, mostra appunto il ponte
metallico così come si presentava un secolo fa. Per ironia della sorte tale
attraversamento fluviale scampò alla distruzione della Prima Guerra mondiale ma
non, alcuni anni dopo, ai danni provocati dal Secondo conflitto mondiale. Fu
infatti distrutto e, nel Dopoguerra, passarono diversi anni prima che il ponte
fosse ripristinato in cemento armato.
Tornando alle ricerche del GCTCV, i ricercatori hanno
scoperto che, alle porte di Bonavigo, erano stati previsti due posti di blocco
per controllare le vie di comunicazione. Essi si trovavano, rispettivamente, in
località Cinquecase e in località Bottirole. Nella contrada Cazzè, quasi a
ridosso dell’Adige, era stata invece prevista una trincea scavata per creare
una linea difensiva, protetta con filo spinato. In centro al territorio
comunale era stata ipotizzata una zona riservata ai soldati dell’esercito
italiano in ritirata. Uno spazio accanto al fiume era destinato ad eventuali
soldati fatti prigionieri dagli italiani. «In quel periodo – evidenzia Scapin –
il parroco era don Gaetano Moro, mentre il sindaco era Rodolfo Mutti. Le linee
difensive nel Comune di Bonavigo erano state ideate per contrastare un
eventuale attacco delle truppe austro-ungariche».
Tali espedienti, 25 anni dopo, in pieno secondo conflitto
bellico sarebbero risultati invece inutili, visto che gran parte degli attacchi
sulla pianura veronese vennero dal cielo. Proprio Bonavigo, in quel periodo,
dovette subire devastanti bombardamenti aerei che, oltre a distruggere lo
storico ponte sull’Adige, danneggiarono pesantemente il centro abitato e
compromisero la stabilità della vecchia chiesa parrocchiale, che negli anni del
Dopoguerra fu abbattuta e ricostruita in un altra zona del paese. La ricerca
del Gruppo culturale bonavighese non si è fermata qui. Oltre a recuperare le
immagini dei soldati del paese che combatterono durante la guerra, comprese
quelle relative agli oltre 120 militi che presero parte al conflitto e a quelle
delle cerimonie commemorative a con gli ultimi reduci insigniti del titolo di
Cavalieri di Vittorio Veneto, i volontari hanno messo nero su bianco le
testimonianze di quel periodo, raccolte dalla bocca dei diretti interessati
quando erano ancora in vita.
Tra gli aneddoti riguardanti i soldati di Bonavigo che
tornarono sani e salvi a casa dal conflitto, c’è quello riguardante Eugenio
Ferrari. «Era un uomo dai capelli rossi e con le lentiggini – evidenzia Scapin
– e l’ultima volta che fu preso dagli austriaci accadde un fatto strano: il
prigioniero fu legato ad un albero e gli venne fatta cadere continuamente una
goccia d’acqua sul capo. Questa goccia, dopo qualche ora, ebbe l’effetto di una
vera e propria mazzata sulla testa, a tal punto che Ferrari si mise ad urlare
tanto da indurre i suoi carcerieri a liberarlo. Tuttavia gli austriaci,
impietosamente, lo misero in un campo di concentramento, dal quale riuscì a
scappare e a ritornare nell’esercito italiano. Informò così i suoi superiori
della prossima azione militare che gli austriaci stavano preparando nei
confronti delle nostre truppe». Un altro episodio, invece, è meno inquietante.
Scapin riferisce: «Mario Tobaldin, originario di Cazzè, raccontava che gli
ufficiali italiani lo avevano mandato all’assalto contro gli austriaci con dei
semplici coltelli, poiché non avevano abbastanza armi da fuoco per tutti. Prima
di tutto i soldati venivano ubriacati per far loro coraggio. Se
indietreggiavano, erano seguiti da carabinieri piemontesi che li obbligavano a
procedere, altrimenti sarebbero stati fucilati alle spalle».
Fabio Tomelleri
Articolo apparso su Verona Fedele del 15/11/2015
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